Anche se ora non esercito più come sportivo professionista, dentro di me rimango sempre una persona di sport. Spesso questa natura mi è di supporto nell’attività di Event & Project Manager. Trovo che il coach e il manager abbiano numerose similitudini, entrambi nel valorizzare il team e/o l’individuo.
A differenza del passato in cui il manager era per lo più un esperto che dava soluzioni, oggi dovrebbe essere guida, riferimento e ispiratore per i collaboratori. Il manager quindi, come l’allenatore con gli atleti, deve saper comunicare, motivare e stimolare per la massima performance, attraverso la conoscenza della materia e possedendo delle soft skills, ovvero delle competenze comportamentali specifiche.
Essere emotivamente ed empaticamente intelligente, parlare in modo chiaro e ponderato, saper ascoltare e verificare che il team abbia veramente compreso e condurre il dialogo attraverso domande che generano riflessioni. Il manager deve guidare i collaboratori a risolvere i problemi, non deve fornire soluzioni, ma porre domande mirate per elaborare e gestire una qualsiasi criticità. Sviluppare un percorso di maturazione che porterà i collaboratori a diventare consapevoli del proprio processo di crescita, capaci e responsabili delle proprie scelte.
Ritengo che osservare è più importante del semplice ascoltare; essere fisicamente presenti e leggere il “mondo team” attraverso comportamenti, schemi quotidiani e linguaggi del corpo. Occorre notare cambiamenti e differenze rispetto al comportamento normale, comprendere tali differenze, sia fisiologiche che psicologiche, allenare la persona e non il collaboratore. Così fa un coach con la squadra, mi viene in mente durante un allenamento.
Creare un ambiente di apprendimento e di miglioramento costante per sé e per il team, equivale alla crescita del progetto.
I collaboratori devono poter guardare il manager come colui che rende semplice il complesso.
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